Perché oggi Internet è più libera di ieri

Internet bene comune e come tale non può avere un capo, un dittatore, un presidente. Da oggi, 1 ottobre 2016 è proprio così. Fino a ieri invece l’ultima parola su alcuni aspetti chiave della grande Rete poteva pronunciarla solo il Governo degli Stati Uniti d’America.

Ma fatemi tranquillizzare gli utenti: da ieri a oggi nulla cambia nell’uso dei dispositivi elettronici poiché le pagine si aprono, lo spam arriva, gli amici di Facebook sono sempre lì. Il fatto importante risiede altrove, nel governo di Internet.

Chi volesse approfondire continui a lèggere.

Uno degli aspetti chiave per il funzionamento della Rete è il meccanismo che traduce i nomi in numeri. Per chiamare le cose con il loro nome il DNS (domain name system) è un servizio che traduce i nomi a dominio (www.google.it) in indirizzi IP (internet protocol), cioè in numeri (203.0.113.113 o 2001:DB8:113::113) che i calcolatori elettronici riescono a comprendere.

Si capisce facilmente che chiunque eserciti il controllo su questa infrastruttura abbia in realtà un potere in grado di influenzare o modificare il comportamento degli utenti di tutto il mondo.

Da quando Internet è quella che tutti usano (quindi per intenderci non la Rete degli anni Settanta, ma quella degli anni Novanta), la funzione di Autorità sugli indirizzi numerici , IANA (Internet Assigned Numbers Authority) era svolta da Jon Postel, un famoso ricercatore considerato il padre di Internet.

Una funzione importante e sempre più complessa con la enorme diffusione che la Rete vide nella seconda metà degli anni Novanta. Dunque, dopo una consultazione pubblica, l’agenzia NTIA (National Telecommunications and Information Administration) in seno al Dipartimento del commercio (DoC, Department of Commerce) del Governo degli Stati Uniti d’America, formalizzò un contratto, nel 1998, con un nuovo organismo appositamente creato, l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).

Dunque quello fu il primo passo verso la privatizzazione della gestione dei numeri di Internet, cioè la funzione di IANA che, logisticamente, non era nient’altro che un ufficio nel palazzo di ICANN (situato a Los Angeles, nello stato della California, precisamente in località Playa Vista).

Da allora il dibattito circa la legittimazione del contratto che legava ICANN alla Casa Bianca si è fatto sempre più acceso e la questione guadagnò uno spazio nell’ordine del giorno di importanti congressi di rilevanza mondiale come IGF (Internet Governance Forum, emanazione dell’ONU), WSIS (World Summit on the Information Society), WCIT (World Conference on International Telecommunications).

L’attenzione si indirizzava al rapporto, per così dire, privilegiato tra gli USA e Internet in un mondo ormai diverso da quello delle sperimentazioni militari o universitarie. Oggi è tutto profondamente cambiato rispetto ad allora, addirittura in alcuni stati viene riconosciuto un diritto a Internet.

Sembra dunque scontato che il governo dei meccanismi sottesi al funzionamento della grande Rete sia condiviso tra tutti i portatori di interesse: semplici cittadini, utenti, aziende, pubbliche amministrazioni, forze di polizia, governi nazionali, multinazionali, organismi di rilevanza mondiale.

Ma scontato non era e, seppure l’opinione pubblica ne dibatteva, chi era nella posizione di cambiare le cose, non agiva. Fino al 14 marzo 2014, giorno in cui NTIA espresse la volontà di cessare il contratto con ICANN e trasferire le proprie prerogative sull’infrastruttura dei numeri di Internet (cioè IANA) a ICANN stessa a patto che il suo ruolo venisse sostituito da una organizzazione cosiddetta multi-stakeholder, cioè estesa a tutti i portatori di interesse.

Quel processo di formazione di una comunità senza colore, né bandiera è durato oltre un anno e da oggi, primo ottobre 2016, ICANN garantisce che le funzioni di IANA siano supervisionate da questa comunità globale di portatori di interesse.

Il percorso non è stato affatto liscio e anzi, anche ora, esiste e si esprime una corrente trasversale di opinioni contrarie a quella che, per fortuna, è già una realtà. Si tratta per lo più di nazionalisti (!?) che, dietro lo slogan “Al primo posto l’America” mal celano una imbarazzante ignoranza su questi temi.

Le più “ragionevoli” voci contrarie invece manifestano un latente timore su cosa possa diventare Internet se Cina, India e Brasile (cioè il nuovo, le economie emergenti) si mettessero d’accordo per scalare il consenso nella comunità multi-stakeholder coordinata da ICANN.

Sicuramente paure infondate, poiché questo cambiamento epocale farà sì che anche tutti gli altri Paesi del mondo, che fino a oggi non avevano voce in capitolo, possano influenzare, determinare, guidare tutti insieme il futuro di Internet.

 

[Articolo pubblicato il 1 ottobre 2016 sulla testata La Nuova Riviera]

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