
L’ennesimo garante, l’ennesimo difensore d’ufficio per l’inerme cittadino. Ma, diciamola tutta: se tutto funzionasse come dovrebbe, se le léggi venissero applicate correttamente, non avremmo bisogno di reclamare, non ci sarebbe necessità di rivolgersi a un esperto per vedersi riconosciuti dei diritti fondamentali.
Però, si sa, poiché non viviamo in un mondo perfetto è necessario prevedere dei correttivi, dei salvagente che in caso di naufragio possano essere facilmente afferrati.
Ora, sappiamo che si può essere vessati da uno sconosciuto, dal vicino di casa, da un concorrente, da un istituto bancario o da chiunque voglia prevalere ingiustamente su di noi. Ingiustamente, sì, cioè non rispettando le regole del vivere civile o addirittura le norme dell’ordinamento.
In questo caso è ragionevole mettere a disposizione, di chi non ha strumenti di difesa, alcuni meccanismi per vedere riconosciuto il proprio diritto e dunque per ristabilire giustizia.
Quando però tali meccanismi sono previsti per difendersi dalla Pubblica Amministrazione, abbiamo la chiara percezione che qualcosa non vada.
Cioè, sembra assurdo doversi difendere da Enti a servizio della comunità: dal Comune, dalla Regione, dall’Azienda Sanitaria, dallo Stato.
Eppure, quante volte abbiamo sentito nominare il Difensore civico? Una figura oggi conosciuta a livello internazionale con il nome di ombudsman, ma che risale addirittura all’Impero Romano allo scopo di proteggere comuni cittadini (e imprese) da eventuali azioni illecite o soprusi commessi da funzionari pubblici.
Fino a qualche anno fa poteva essere presente in ciascun Comune italiano, oggi invece basta che sia presente in ciascuna delle vénti Regioni. Lo scorso anno però il Codice dell’Amministrazione digitale ha introdotto una nuova specie di difensore civico, quello per il digitale appunto.
Un funzionario pubblico che, in possesso di adeguati requisiti di terzietà, autonomia e imparzialità, sia nominato in ciascuna pubblica amministrazione.
Quanto meno bizzarro questo articolo di légge che impone la ricerca, in seno all’Ente stesso, di un dirigente che sia sufficientemente terzo, autonomo e imparziale e, perché no, capisca anche qualcosa della materia, affinché possa essere nominato Difensore civico per il digitale.
Se ne sono accorti tutti, anche il Governo stesso che infatti, dopo solo un anno dalla pubblicazione della novità, ha ritoccato la norma lo scorso 11 dicembre annunciando che verrà nominato un unico Difensore civico per il digitale presso l’Agenzia per l’Italia Digitale.
Finalmente dunque le migliaia di comunelli italiani sono stati alleggeriti di un adempimento quanto mai scomodo e, a dirla tutta, inutile. Non occorre certo un esperto per capire che il costituendo ufficio presso AgID potrà essere veramente terzo, autonomo, imparziale e competente.
Dopo tutto, cosa dovrebbe fare un Difensore civico per il digitale? Le parole chiave sono: autorevolezza e moral suasion nei confronti di quelle pubbliche amministrazioni che non riconoscessero i diritti previsti dal CAD a imprese e cittadini.
Proprio questi ultimi, dipendenti pubblici compresi, possono segnalare la presunta violazione di qualsiasi norma in materia di digitalizzazione e innovazione nella Pubblica amministrazione. Pare poco ma dai seguenti esempi si può comprendere la portata della norma:
- una PA non mette a disposizione la posta elettronica (tradizionale o certificata) come mezzo di comunicazione;
- una PA non consente a cittadini o imprese la partecipazione in modalità digitale ai procedimenti amministrativi;
- una PA non consente di effettuare pagamenti in modo telematico;
- una PA non consente di accedere ai documenti digitali;
- una PA, prima di acquistare un software, non verifica che sia già stato sviluppato da altra PA;
- una PA non promuove iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini;
- una PA non mette a disposizione degli utenti connettività a banda larga per l’accesso a Internet;
- una PA non attua politiche di formazione del personale finalizzate alla conoscenza e all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione;
- una PA non nomina il responsabile della transizione al digitale;
- …
Sarà compito quindi dell’ombudsman di Stato (e del suo ufficio ovviamente) raccogliere i casi segnalati da cittadini e imprese, verificarne la fondatezza, contattare la PA accusata della presunta violazione ed esortarla alla tempestiva osservanza delle norme, pena il trasferimento del fascicolo al competente ufficio del personale per l’eventuale apertura di un’azione disciplinare nei confronti dei responsabili.